domenica 19 ottobre 2008


Giuseppina ha diciannove anni, quando scende verso il buio che aspetta ciascuno di noi. Eppure la statua la raffigura mentre sale dei gradini e guarda triste verso il basso. Che magnifica illusione per chi si prepara a morire, credere di salire al cielo mentre si torna alla terra. Che conforto splendente per chi resta, guardare il cielo e cercarvi chi si è perduto, invece di immaginare il suo corpo che si decompone sotto una pietra.

Giuseppina se n'è andata, scendendo, molto prima che io nascessi. Non l'ho mai conosciuta, niente mi lega a lei. Ho scoperto la sua tomba per caso, nella parte più antica del cimitero, un giorno di molti anni fa, camminando senza meta e raccogliendo pensieri. Andavo spesso da lei, prima di lasciare questa città e un pezzo di vita. Torno a trovarla in un giorno di vento e cielo grigio.
Quando entro nel cimitero è già passato l'orario di chiusura mattutino, ma il cancello è ancora aperto. Una donna sta uscendo, mi avverte di stare attenta, non vorrò mica restare chiusa dentro? Le spiego che non ho paura dei morti, lei ride nervosa e se ne va. Un uomo passa a bordo di un furgone, dev'essere il custode. Dice che posso entrare lo stesso, che c'è una porta dalla quale posso uscire se trovassi il cancello chiuso. E' gentile, mi sorride, mi dà del tu e mi saluta con la mano. Lui non sa quanto gliene sono grata: sento così freddo che mi attacco anche al sorriso di uno sconosciuto pur di scaldarmi un poco.
Il cimitero è vuoto. Se fosse già buio potrei avere davvero paura; certe sensazioni sono ataviche, vanno al di là del buon senso, delle convinzioni, della logica. Ma è passato da poco mezzogiorno, nonostante il brutto tempo c'è luce dappertutto.
La quiete è irreale e rassicurante. Odio, nei cimiteri, le persone che chiacchierano e fanno rumore, donne anziane, di solito, che scambiano questo posto per un mercato. Pur non volendo per me, quando morirò, nessuna tomba, credo che in un luogo dove tutto finisce, dove si deve per forza riflettere e porsi domande, siano essenziali rispetto e silenzio.
Avvolta solo dal rumore del vento, cammino fino a una croce nuova. Metto a dimora una pianta di rosmarino che devo a un racconto di Erri De Luca, ne accarezzo le foglie, ma il mio cuore resta spento. Compatto la terra intorno alle radici e verso acqua, non lacrime. Non ho lacrime, non oggi, forse non più. Dopo una vita intera, perfino le lacrime finiscono.
E' solo mentre sto uscendo che mi ricordo di andare a trovare Giuseppina. Lei sta ancora salendo i gradini che la portano verso l'illusione di eternità di chi l'ha amata tanto da erigere per lei un monumento sontuoso, da regina. Io, con la mia presunzione fatta a brandelli, sto ancora cercando un posto sopra questa terra, prima di doverne tornare a far parte.
Dalla porta del cimitero qualcuno vede uscire una donna con gli occhi asciutti. Ma è una finzione.
Dalla porta del cimitero esce una bambina sola e perduta, che vorrebbe piangere forte per farsi trovare, essere presa in braccio, essere cullata e addormentarsi. Ma nessuno più risponde, nessuno ha risposto mai. E lei rimane sola, con gli occhi enormi, spaventata e muta.

venerdì 22 agosto 2008



Per nessun altro, mai, ho sprecato tanto amore.
In questo mezzogiorno d'estate, dopo i convenevoli e i baci in aria vicino alle guance, ci fronteggiamo come due pistoleri. Il tuo sguardo è dritto e vuoto, come sempre. Il mio è inerte. Non abbiamo bisogno di sparare, portiamo già abbastanza ferite addosso. Qui ci sono una donna di quasi quarant'anni e una donna di quasi cinquanta, due persone che oggi si sono ricostruite nonostante tutto, ma il loro corpo grida del passato, lo fotografa, lo rende immortale.
Io ti ho amata e cercata da sempre, da sempre. Da piccola credevo che la differenza d'età fosse il problema, che non ci fosse modo di conciliare un'adolescente con una bambina, una giovane donna con una ragazzina, una donna adulta con una ventenne. Eppure ho sempre continuato a provare, ho sempre continuato a sperare. Da piccola piangevo perché uscivi per andare a scuola senza salutarmi. Da adolescente piangevo quando mi insultavi e mi ridicolizzavi. Da grande piangevo comprendendo la tua cattiveria, la tua falsità. Da grande però ho capito anche che non ci separavano otto anni, ma la tua volontà, caparbia, granitica, di essere l'unica, l'egoismo di non voler dividere niente. Quanto era in palio di prezioso valeva poco, in confronto al peso del dolore che, quello sì, potevamo dividere e rendere lieve, ma tu sei cieca e non sei mai stata in grado di capirlo.
Abbiamo attraversato lo stesso inferno, gli stessi demoni ci hanno tormentate, torturate, fatte sanguinare. Abbiamo gli stessi lividi, le stesse cicatrici. In quella guerra la mia mano era sempre tesa, ma tu non l'hai presa mai. Abbiamo camminato accanto, sotto le bombe, la pioggia di fuoco, le macerie, senza incontrarci. Che occasione magnifica abbiamo perso. Potevamo unire le forze e scappare o lottare, ma sempre insieme. Potevamo essere amiche. Potevamo essere sorelle.
Ti guardo sotto il sole cocente e mi rendo conto che non ho più nulla da dirti. Ci sono momenti in cui ammettere con se stessi che è troppo tardi non è una sconfitta né una mancanza di coraggio, ma solo una presa di coscienza responsabile e matura. Non si può sprecare amore per niente, non si può farlo per sempre.
La vita mi ha messo a fianco sorelle e fratelli veri, senza una goccia di sangue in comune ma con il cuore intrecciato al mio. Non ho più bisogno di volere te.
Eppure non ho rimorso alcuno. Ho sbagliato tante cose, ma non ho sbagliato niente con te.
Io ero sempre lì, a te non è mai importato.
Abbiamo perso entrambe qualcosa di irripetibile, e chissà se lo capirai mai, quanta ricchezza potevamo tenere tra le nostre mani unite. Abbiamo perso entrambe, abbiamo perso tutto, e la colpa è solo tua.

venerdì 1 agosto 2008


Angela è bella, coraggiosa e sorride sempre.

Angela vive in una casa uscita da un libro di favole, con un uomo che dipinge il mondo di allegria.
Quando l'ho conosciuta, quella casa da fiaba era in costruzione. In quel tempo io mi consegnavo al futuro nei miei mattoni, impastando argilla e speranza. Non era un buon momento, per me, ma questo Angela non lo sa.
Una sera sono stata invitata a cena in quella casa dove le mie mani mi avevano preceduta. Mi sono affacciata ai davanzali che ho intagliato a uno a uno e ho ricominciato a sorridere. Se il mio lavoro era lì, in una casa felice, allora un po' di quella felicità doveva pur tornare indietro.
Ci sono alcuni momenti della mia vita che conservo, momenti così brillanti da dover essere tenuti al buio, chiusi in uno scrigno foderato di velluto; gli occhi mi lacrimerebbero forte, se li guardassi troppo spesso. Ho messo via con cura quella sera di canzoni e risate, quella sera in cui ho capito che c'era ancora tanto da fare, quella sera che mi ha insegnato a vivere sempre cantando e ridendo. A volte la guardo per un po', mi faccio scaldare il cuore, poi chiudo il coperchio quando spuntano le prime lacrime.

Angela è bella, coraggiosa e sorride sempre. Ma sotto il suo aspetto minuto batte un cuore di guerriera, e quando la vita l'ha sfidata lei non si è lasciata intimidire, mai. Ha duellato con la morte tenendo fede ai suoi insegnamenti, ridendole e cantandole in faccia. E quanta paura deve avere avuto, la morte, di lei!
Mentre scrivo queste parole, Angela, fedele al suo nome, mette le ali e vola via. A noi inchiodati a terra non resta che seguire il suo volo, tracciare le sue traiettorie meravigliati con la punta delle dita. Forse, se saremo davvero molto fortunati, riusciremo quasi a sfiorarla, quasi ad afferrare qualche granello di polvere dorata delle sue ali grandi e colorate.

martedì 29 luglio 2008


Non mi è estraneo un certo lato selvaggio, per quanto mi dichiari quieta e abitudinaria. Ho fatto i bagagli e sono partita più di quanto avrei voluto, sono solita dire. Eppure io le ho volute tutte, quelle rivoluzioni a cui ho costretto il mio corpo e il mio cuore, le ho desiderate e ne ho goduto, spaventata, delirante, ubriaca di aria nuova. E non rimpiango un solo fagotto fatto, una sola porta chiusa, un solo orizzonte che si allontanava. Quando penso che potrei non avere ancora finito, lo confesso, la paura si intreccia alla voglia. Ancora, sì, ancora una volta.

Per ora, cambio casa solo ai miei pensieri.
Questa sono stata e sono ancora.
Ma è il momento di aprire le finestre, arieggiare le stanze, portare i mobili e gli scatoloni pieni di pensieri da riordinare, con calma, non adesso, non subito.
La prima notte dormirò vestita sul materasso appena srotolato. Ci sarà tempo.
Ciao, blog nuovo, staremo bene insieme.